BARBABLU’ E IL DONO DEL PANICO
Di ELISA BARBIERI
#01 Una fiaba spaventosa:
Barbablù di Charles Perrault
La fiaba di Barbablù di Charles Perrault (scrittore, Parigi 1628-1703), con il suo protagonista spietato e le mogli che finiscono trucidate, si è affermata nella cultura occidentale con la forza del mito: se sono impossessati l’arte, la letteratura folclorica, la letteratura per l’infanzia, il teatro, il cinema, la danza (Blaubart di Pina Bausch, ad esempio).
SINOSSI DELLA FIABA
Barbablù, è un uomo ricco dalla barba azzurra, che mette alla prova la curiosità della settima moglie.
Comunica alla moglie di doversi assentare per questioni di lavoro; le consegna le chiavi del castello, dicendole che è libera di andare dappertutto ma non nella stanza segreta.
Barbablù parte. La settima moglie, nonostante la proibizione fattale dal marito, non resiste alla tentazione di entrare nella stanza segreta e fa una macabra scoperta: i corpi delle precedenti mogli appese e imbrattate di sangue. La chiave le cade di mano e si macchia in modo indelebile.
Barbablù ritorna e si rifà consegnare il mazzo di chiavi. La chiave macchiata è la prova della disobbedienza della moglie. Il feroce marito le accorda qualche minuto per raccomandare l’anima a Dio prima di ucciderla.
Lei invece riesce a raggiungere la sorella Anna, ospite in quei giorni nel castello. La scongiura di salire sulla torre e di spiare l’arrivo di cavalieri, che di lì a poco sarebbero dovuti giungere in visita.
I cavalieri giungono proprio mentre l’infelice sta per essere uccisa. Dopo un rapido combattimento uccidono Barbablù e liberano la sorella. Questa eredita le immense ricchezze del perfido marito ed è libera di scegliere un marito migliore del precedente.
BARBABLU’ COME PREDATORE NATURALE
L’interpretazione che Clarissa Pinkola Estes dà a Barbablu è di una metafora per una dinamica relazionale intrapsichica, con particolare riferimento al predatore naturale: il lato oscuro dell'animo umano, la violenza e il controllo.
Barbablù è un nemico naturale della donna, che non è al di fuori di lei, ma dentro la sua psiche. È una forza che oggi la psicologia chiama ‘sabotatore’, che tende a nuocerci, a rovinare i nostri progetti, la faticosa creazione di valore che conduciamo giorno dopo giorno, nel tempo.
Cosa fare con il predatore naturale? Come comportarci dunque con lui?
“Ma che ne faremo di quegli esseri interiori che sono del tutto pazzi o di quelli che portano distruzione senza neanche pensarci? Anche a questi deve essere dato un posto. Un'entità in particolare, la più ingannevole e potente fuggitiva della psiche, richiede la nostra consapevolezza immediata e la capacità di trattenerla: è il predatore naturale.
(…) È un antagonista derisorio e sanguinario che nasce in noi, e anche con il miglior nutrimento parentale l'unico compito dell’intruso è il tentativo di trasformare ogni crocevia in strade senza uscita”.
Clarissa Pinkola Estes, Donne che corrono coi lupi,
Ma vediamo come la fiaba ci racconta e ci insegna come la paura sia una preziosa alleata nella vita, un istinto capace di difenderci e di proteggerci dal predatore naturale.
#02 L’istinto della paura
Il primo commento relativo alla fiaba è che la paura è un istinto naturale. Tutte le emozioni rappresentano la parte più istintiva e animalesca di noi ma, come abbiamo sentito nelle relazioni precedenti, la paura fa parte delle emozioni primarie, in quanto le più antiche, e in quanto tale è particolarmente legata al nostro sentire istintivo.
Quando una donna è forte nella sua natura istintuale, intuitivamente riconosce il predatore innato dall'odore, dalla vista e dall'udito... ne anticipa la presenza, lo sente avvicinarsi, e prende le misure opportune per allontanarlo.
Nella donna dall'istinto leso, il predatore incombe prima che lei ne registri la presenza, perché la sua capacità di sentire e di sapere e di percepire è menomata, soprattutto dalle introiezioni che la esortano a essere gentile, a comportarsi come si deve, e soprattutto a essere cieca al continuo abuso.
Il predatore innato è una forza specifica e incontrovertibile che va memorizzata e controllata.
Per frenare il predatore naturale' della psiche è necessario che le donne restino in possesso di tutti i loro poteri istintuali, tra cui l'introspezione, l'intuito, la resistenza, l'amore tenace, la sensibilità acuta, la lungimiranza, l'udito sottile, la capacità di cantare sui morti, di curare in modo intuitivo, di tendere ai propri fuochi creativi.
La giovane sposa si è ingannata. Inizialmente aveva paura di Barbablù. Era diffidente. Tuttavia un piccolo piacere la induce a rinunciare al suo intuito. Quasi tutte le hanno fatto questa esperienza almeno una volta. Di conseguenza si convince che Barbablù non è pericoloso, ma soltanto un eccentrico che soffre di idiosincrasie. Oh, che sciocca che son perché mi lascio sconcertare da quella vecchia piccola barba blu?
L'acquiescenza a sposare il mostro in realtà è decisa quando le bambine sono ancora piccole, di solito prima dei cinque anni. Si insegna loro a non vedere.
Per via di questo addestramento la sorella più giovane può dire: «Insomma, la sua barba non è poi così blu». Questo precoce addestramento a «mostrarsi carine» induce le donne a calpestare le loro intuizioni. In questo senso, si insegna loro davvero intenzionalmente a sottomettersi al predatore.
In questo senso, la paura, come negli animali, ci mette in guardia dal pericolo. Sentire e riconoscere la paura, fuggire per paura, ci protegge, ci mette in salvo.
La paura è una emozione nata milioni di anni fa. Oggi la viviamo in contesti diversi, non pericolosi come quelli delle giungle, però in qualche misura assimilabili a quelle delle giungle. L'ansia è una trasformazione della paura: cioè il vedere il pericolo non nel presente ma nel futuro immediato.
Il primo insegnamento della fiaba è dunque quello di ‘non avere paura della paura’.
#03 Paura della paura
Questo è un punto molto importante, perché – al contrario – nella nostra società la paura è vista come viltà, come una debolezza da superare, quando è nella sua forma acuta (ansia, panico) come disturbo e addirittura malattia da curare.
La società ha paura della paura. Non ci dice di ascoltare la nostra paura, di interrogarla, di renderla portavoce di un cambiamento, ma – al contrario – ci dice di combatterla, di superarla e se non ci riusciamo allora di anestetizzarla. Avere paura è sinonimo di inadeguatezza.
La società ci vuole adattare alle sue leggi, ma la paura ci indica una strada divergente rispetto all’adeguamento alla società stessa.
Vi vorrei offrire dunque invece un cambio di prospettiva radicale rispetto alla paura.
Pensate, ad esempio, al panico, all’ansia – sono manifestazioni particolarmente intense di paura, ma ricche di potenziale.
L’attacco di panico (quindi la paura intensa) è qualcosa che ci sta mettendo in guardia rispetto al pericolo che stiamo correndo: attenzione, questo stile di vita è troppo frenetico per te, attenzione, stai ignorando troppo i tuoi bisogni, attenzione, questa relazione ti sta facendo del male etc…
#04 Il dono del panico _ Pan e Psiche
Ill quadro Pan consola Psiche di Ernst Klimt si riferisce all'episodio, narrato nelle Metamorfosi di Apuleio, nel quale Psiche, addolorata per la perdita dell'amato Eros, tenta di gettarsi nel fiume per togliersi la vita e il dio Pan la salva.
La fanciulla è in piedi, questo strano essere, metà fauno e metà uomo e non sembra per niente spaventata dalle sue sembianze caprine, né tantomeno intimorita dall'essere seminuda di fronte a lui. Lo ascolta come un maestro, un vecchio saggio a cui ci si rivolge per avere un consiglio sul da farsi. Lui sembra spiegarle qualcosa di molto serio e profondo.
Cosa potrà apprendere di tanto importante questa eterea ragazza da un essere animalesco come lui?
Pan è il dio cui ci si riferisce indirettamente quando si parla di attacchi di pan-ico: una potente invasione di sensazioni ed emozioni che fanno provare mancanza di respiro, alterazione cardiaca, terrore di morire o di impazzire.
Il panico si presenta la prima volta senza avvertimenti, semplicemente irrompe nella quotidianità di un momento qualunque, senza apparenti ragioni. Proprio come avveniva nel mito, quando il dio Pan, abitante dei boschi, si divertiva a spaventare a morte con urla terrificanti coloro che si avventuravano nei suoi territori, o comunque come quando qualcuno lo incontrava e restava scioccato dal suo aspetto animale e dalla sua bruttezza.
In questo quadro per la prima volta si assiste all'incontro di una figura femminile che non scappa, bensì si lascia “consolare” dalla potenza numinosa del dio.
L'immagine ci racconta la necessità per la nostra psiche di entrare in contatto con gli aspetti più istintuali e considerati “brutti” nella nostra interiorità, quelli che troppo spesso vengono repressi e negati, relegati chissà dove nel nostro inconscio.
Può trattarsi di aspetti di sé che proprio malgrado si sono dovuti ripudiare, perché non accettati dal mondo intorno, oppure bisogni, desideri e necessità criticate e giudicate dal proprio censore interiore, o ancora reazioni di insoddisfazione misconosciute perché impossibili da far convivere con uno status quo duro a disfarsi...
Pan invece urla, picchia a terra gli zoccoli, se ne frega delle buone maniere, dei bisogni dell'altro, vuole, pretende, prende ciò che vuole in modo brusco e brutale, manda a quel paese chi non gli va a genio, ride a crepapelle, si diverte a scorrazzare libero per i boschi, senza conoscere il senso del dovere, vuole unirsi carnalmente per il puro piacere di godere, si libera di catene inutili che lo imprigionano, sa perdere la testa...
Quando a questi aspetti naturali e spontanei non viene dato spazio nella nostra vita, c'è la possibilità che reclamino espressione e lo facciano nella modalità più immediata, ovvero prorompano come energia vulcanica mandando in frantumi l'apparente ordine.
Pan invita a scompigliare i capelli, a intrecciare un fiore fra i ciuffi ribelli, a sporcare quel candore con la vita vera, invita ad osare, rischiare, sbagliare e riprovare, sbattere porte e riaprirle, allontanarsi da quello che inaridisce l'anima.
“Gli dei sono anche istinto: agiscono nel nostro corpo, interagiscono col desiderio, con Pan, con la depressione, con ogni tipo di espressione fisica e tutto questo panico, questo terrore ci fa muovere e si salva la vita. Nella leggenda di Amore e Psiche, Pan salva la vita a Psiche quando è sull'orlo del suicidio. Nel momento in cui lei vuole morire annegata, lui la salva. Adesso è allora possibile pensare al panico non in termini di distruzione ma come un momento per fermarsi o fuggire, come ad un cambiamento radicale nella nostra coscienza, come a un drastico distacco rispetto a dove eravamo fino a quel momento”.
James Hillmann
#05 Simultanietà di paura e coraggio
C’è un secondo punto relativo alla paura: la transitorietà immediata delle emozioni, che possono passare da un segno al suo opposto. O sarebbe ancora meglio parlare di simultaneità, nell’ottica di un pensiero non duale. Siamo abituate a pensare in termini di binomi di opposti (caldo-freddo, alto-basso etc…) però in questo caso la fiaba ci racconta invece di una non-dualità delle emozioni.
Quando Barbablù scopre quel che ritiene un tradimento ha una reazione violentissima, vuole uccidere prima la moglie poi tutte le dame del castello.
L’ultima moglie ha paura e coraggio allo stesso momento.
Tornando all’istinto animale: si dice che tra gli animali si svolga una misteriosa danza psichica tra predatore e preda. Si dice che, se la preda concede un certo sguardo servile, e un certo tremito che produce un leggero incresparsi della pelle sui muscoli, riconosce la sua debolezza e accetta di diventare vittima del predatore.
Ci sono momenti in cui rabbrividire e correre, e ci sono momenti in cui non bisogna farlo. A questo punto la donna, per quanto tremante, non perde la propria lucidità. Passa dal terrore della minaccia di morte al coraggio di prendere l’iniziativa. La preghiera che la giovane sposa rivolge a Barbablù, di concederle il tempo per ricomporsi, non è il segnale della sottomissione al predatore, ma un modo intelligente per raccogliere le energie nei muscoli e prendere tempo per chiamare aiuto e salvarsi. La donna ha paura, certamente, ma la paura non paralizza la sua mente, che con grande velocità escogita un modo per contrastare la forza maschile.
È presente a sé stessa, riesce nonostante la paura a ragionare e a trovare una soluzione.
C’è un ultimo messaggio che la fiaba contiene: sono tante le mogli che Barbablù ha ucciso, i cadaveri scoperti dalla giovane moglie. Si tratta simbolicamente dell’uccisione del femminino creativo. È un avvertimento per la giovane moglie, di quello che rischia di accadere anche a lei.
Ma gli scheletri che vengono trovati rappresentano la forza indistruttibile del femminino. Quindi, ancora una volta, un messaggio di resistenza all’energia distruttiva.