Di lame e di latte

RECENSIONE DI MONICA BORETTINI

Parma, 15/04/2025

Colpisce da subito questo titolo fortemente emblematico al pari della citazione in epigrafe riferita ad un essere – il daimon o spirito che spinge l'uomo alla sua vera vocazione- tanto caro a James Hillman, acuto e attento osservatore dell'animo umano. Questo titolo, dicevo, apparentemente e solo in apparenza contradditorio, è a mio avviso, foriero di una sorta di compensazione (la lama pur nel suo bagliore scintillante suscita raccapriccio evocando taglio, divisione, sofferenza, sangue, mentre il latte primo elemento nutrizionale dell'uomo e dei mammiferi, si fa sostanza devozionale: si pensi alla religione cattolica, all' immagine di Maria lactans che allatta al seno il bambino e che contrasta in maniera palese quella della madre cattiva che allatta una serpe in seno. Ricompensa da ferita esperienziale, il latte che sgorga imbianca, purifica, consola, protegge, rincuora.. Gli esempi in tal senso possono essere molteplici.Mi piace partire dall'alchimia (tema caro all'autrice) In alchimia ad esempio il rosso del sangue e il bianco del latte, “sulphur et mercurius” costituiscono “i due torrenti di speciale grazia”: “che duplice colpo , quando ben cotti, oro ti daranno”!. Grazie alla giusta misura dell'equilibrio l'autrice sazia dell'oro bevuto, conduce il lettore che sa di poesia con levità personalissima in un percorso di viandanza che parte dal suo intimo sentire per dipanarsi e dispiegarsi su tempi e luoghi. In questa raccolta poetica troviamo  rosso,  ferite,  passione. Veniamo alla prima poesia: una fedele dichiarazione di intenti. Il Daimon scatenato, rosso di foga di cui Elisa ci parla, prende corpo lasciando intravvedere bellezza, parole, silenzio, amore e sguardi. Desiderio di riscossa. Non a caso Elisa Barbieri è  una attenta ricercatrice della bellezza che ci spumeggia attorno senza dimenticare di coinvolgere le sorelle in un progetto di condivisione del bello e degno. Un eterno viandante disposto a lasciarsi stupire ed incantare da stimoli, simboli, voci. In questo suo viaggio contemplativo, gli elementi, il mare, il fiume, i monti, “i tronchi rigati di neve” non sono più solo tali ma lambiscono, dilatano e assurgono a vita che sboccia.   Mi è piuttosto eutocico parlare di questo libro: il senso della ricerca ad una maggiore comprensione del sé, di quel qualcosa posto molto in fondo, nel luogo ove regna una solitudine ontologica, è scaturigine piena  dell' immagine che crea realtà ed  è lo stesso oggetto che muove la mia ricerca  personale. Credo fermamente che il dettato poetico svolto con fede e prefessione di Elisa Barbieri sottenda allo svelamento di  maschere o fantasmi della memoria, molto spesso criptati da una spessa coltre difficilmente rimovibile. Offrendo un ventaglio di possibilità allusive, esso costituisce un assedio dolce alla banale quotidianità che ci vorrebbe  (“noi fiori-vagina da cui escono nuotando neonati”)rinunciatarie, creature fragili, usate, trafitte in nome di doveri molto spesso imposti da chi non  capisce l'universo donna. L'aiuto della parola poetica ci viene in soccorso nutrendoci, un latte, precisamente,  e sorreggendoci  con le sottili sfumature del pensiero anche esoterico. Penso ai versi di Elisa che mi hanno riportato a Charles Baudelaire:

“Allora uscite, andate nel bosco e fate l'amore con gli spiriti. Gemete, ululate e riunitevi per la gioia del mondo”.  L'autrice con i suoi versi convincenti è a proprio agio in questo vasto impero di parole estatiche, capaci di facilitare la tratta dall'incanto alla gioia di vivere,  dalla speranza al fare.

Questo pellegrinare nella natura, in qualità di “assorbitore armonico umano”, a parlare coi cespugli, stringere patti con gli alberi, leggere messaggi sulle foglie che volano, questo chiamare a sé suoni arcaici, emozioni ancestrali è una corrente continua che tiene insieme immaginazione trasformativa e realtà  benigna. Concetti degni di grande rispetto e attenzione. Ogni impulso di intelligenza crea un pensiero ed ogni pensiero è un pezzo di presente nel qui ed ora. Un testo in cui l'autrice “che non sopporta più l'aria viziata, vuole tornare al bosco e alle onde” lancia il suo accorato monito sul pericolo dell'inaridimento delle anime e afferma, dopo “l'ombelico profondo e il polso storto di audeniana memoria” che “contro il male che tutto nega, vive cantando” . Un messaggio bellissimo anche per  tutte le sorelle “scrittrici amorose, bombe di pace” da cui ri- partire per ri-partorire  una parola nuova, una musica nuova.. Perchè è innegabile che la poesia sia pensiero cantato. Ed io non esito con gioia ad abbracciare questo credo.