UN INCONTRO CON ANDREA BAJANI

Di ELISA BARBIERI

Illustrazione di Mara Cerri per la copertina di "Un bene al mondo" di Andrea Bajani pubblicato da Einaudi


Leggere "Un bene al mondo" fu una vera e propria folgorazione, tanto che quando, nell'ambito della mia formazione autobiografica, mi fu chiesto di intervistare un maestro, pensai subito a lui.

Pubblico qui il racconto della prefazione di quell'incontro, a Roma nell'estate del 2017.

Non posso pubblicare invece l'intervista, perché gli avevo promesso che sarebbe stato utilizzata solo per la tesina.

"Presagivo che UN BENE AL MONDO fosse una strana forma di autobiografia. Vi ho trovato frasi di una potenza inaudita, sconvolgenti, capaci di toccare nell’intimo chi, da bambino, abbia provato solitudine, dolore, inadeguatezza, rifiuto. Forse ciò che tutti in realtà provano. Forse anche i miei figli, alla cui compagnia (non ho vergogna di dire) preferisco spesso quella di una lettura o di una scrittura.

Vi ho trovato un sentire poetico, drammatico, commosso e commuovente, e allo stesso tempo vitale, di quella vita vera, autentica, in cui morte e vita si intrecciano continuamente, in cui

gioia e tristezza si appoggiano una sull’altra, in cui desiderio e nostalgia si arrotolano fino a non distinguersi più.

Ho pianto molto leggendo le pagine sulla nascita, dove si narra di una madre vuota, di un seno vuoto, di un’antica tristezza, di una

culla di metallo con dentro un neonato e il suo dolore ancora bambino. Mi ci sono rivista in pieno.

Sono arrivata in tarda mattinata all’American Academy di Roma, dove Andrea mi è venuto incontro tra tanti artisti. L’ho riconosciuto subito, dall’andatura monacale rafforzata dal blu

scuro di pantaloni e maglietta. Un bel ragazzo, alto, con occhi verde chiarissimo, i capelli sale pepe. E’ stato subito affabile, accogliente, quasi contento di poter interrompere la routine paradisiaca e al tempo stesso infernale che vive in quella grande villa romana in cima al colle, alle spalle del Fontanone, albergo di artisti, soprattutto americani, invitati e stipendiati dal governo statunitense per lavorare e produrre opere d’arte.

Andrea è uno dei pochissimi italiani li.

Mi accompagna nel grande giardino arredato con larghe panche in legno, nelle sale interne con vista sulle cupole di Roma, pavimenti in marmo, caminetti in legno alle pareti e pianoforti a centro stanza. Gli artisti pranzano e cenano tutti assieme nel chiostro, ma Andrea approfitterà per uscire a pranzo con me in

una trattoria poco distante da li, e raccontarmi qualche aneddoto sulla nascita di un suo nuovo libro che, casualmente, si ambienterà proprio in quella zona.

Con Andrea ho sentito subito un’affinità. Se avessi scritto la mia autobiografia per un’eventuale pubblicazione, avrei provato a scriverla come Un bene almondo. Quando, molti anni fa, avevo provato a scrivere la mia storia in autonomia, guarda caso avevo scelto il punto di vista di un cane. Cioè, io ero il mio cane, naturalmente.

Curiosamente, Briciole, l’estratto dell’autobiografia che ho realizzato per amici, presenta delle particolari analogie formali

con la raccolta di racconti di Andrea La vita non è in ordine alfabetico.

Al di là di questi aneddoti, Andrea è un poeta e le sue immagini mi hanno lasciato senza fiato per la loro potenza. Incontrarlo mi ha confermato il suo talento nel saper condensare in immagini di semplicità e forza uniche ogni leggera sfumatura della vita.

Incontrarlo mi ha bagnato dalla rugiada di una poesia vivente, e la sua disperazione è stata di grande conforto alla mia disperazione.

Partendo dal punto comune della necessità di scrivere, arriviamo a due punti opposti. Il suo è quello di una necessità vissuta in modo totalizzante, che ti annienta laddove non si realizza. Il mio punto è una necessità agognata e non vissuta, perché soffocata, trascurata, ostacolata.

Se la prosaicità della mia vita mi inaridisce, impedendomi di trovare quei silenzi e quei tempi che permettono di scrostare la superficie per cogliere la bellezza, così Andrea mi ha messo

davanti, su un vassoio di velluto blu, i diamanti insanguinati della sua scrittura, pegno della sua stessa esistenza.”

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