STUDENTESSE-BIOGRAFE IN UN QUARTIERE LABORATORIO

DI ELISA BARBIERI

Premessa 

Nell’AA 2021/2022 il Circolo di Cultura e Scrittura autobiografica di Parma, nella persona della referente Maria Concetta Antonetti e della scrivente Elisa Barbieri, è stato invitato dal Liceo Marconi a collaborare al progetto patrocinato dal Comune di Parma “Leggere in Oltretorrente”, creato per coinvolgere sia le proprie classi sia chi abita nel quartiere in iniziative atte a favorire la lettura come pratica quotidiana, capace di generare competenze alfabetico-funzionali, multilinguistiche, personali, sociali e di cittadinanza.

Da una parte, la scuola ha la necessità di trasferire in agiti reali le conoscenze apprese attraverso l’insegnamento, dall’altra l’Oltretorrente, quartiere storico e popolare, luogo simbolo della memoria antifascista parmigiana, nel quale da cento anni ha sede il Liceo Marconi, da sempre “porta” di accoglienza della città alle nuove cittadinanze, prima contadine, poi operaie e ora immigrate, è protagonista di rapidi mutamenti sociali relativi alla convivenza di culture diverse, allo spopolamento dello spazio pubblico e dei centri di aggregazione, al bisogno di cura per la malattia o l’età avanzata, al degrado urbano – uno scenario che causa nell’ambiente un senso di spaesamento, isolamento, perdita di dignità.

 La richiesta iniziale rivolta al Circolo LUA di Parma è stata di organizzare un percorso di formazione alla lettura come strumento di autoconoscenza o sollievo per ritrovare nella letteratura stimoli di confronto e d’immaginazione, stati d’animo e ricordi da condividere.


Dalla lettura di testi scritti alla lettura di luoghi e storie viventi: il progetto biografe di comunità

Fin da subito abbiamo creduto che le potenzialità del metodo autobiografico potessero consentirci di oltrepassare le richieste, ideando un progetto che prendesse le mosse dal rapportarsi alla letteratura come materia vivente, capace di attivare una poetica di arte relazionale.

L’avvio: formare le biografe

La prima fase è stata la formazione autobiografica teorico-pratica di sei incontri di due ore rivolti a due classi quarte, durante la quale le studentesse hanno sperimentato l’autobiografia come allenamento della capacità di introspezione e auto-consapevolezza, interrogandosi sul significato della lettura per sé e sui testi letterari che maggiormente hanno plasmato il loro modo di essere, per arrivare alla raccolta di storie, stendendo tracce che intrecciassero le biografie individuali alla storia del quartiere e allenando infine l’ascolto attivo attraverso la simulazione di colloqui biografici in classe.

Disseminazioni di tracce temporanee: il flash mob Eufemia

Il primo atto pubblico di “Leggere in Oltretorrente” è stato il Flashmob Letterario Itinerante Eufemia durate il quale centocinquanta tra studenti e studentesse del Liceo Marconi hanno realizzato blitz, atelier, reading e una marcia per la lettura.

Le studentesse del laboratorio “Biografe di comunità” hanno disseminato nelle strade, nelle piazze, nei mercati con strumenti temporanei (scritte con gessi a terra, appendimenti ad alberi, muri-bacheche con post-it) i titoli dei libri che hanno reputato essere stati maggiormente formativi nella loro vita, accompagnati da inviti alla lettura, sotto forma di affermazioni secondo la formula Leggi questo libro perché…

Il coinvolgimento di un campione significativo: creare il gruppo narrante

Successivamente si è lavorato al delineare un gruppo narrante che potesse rappresentare l’eterogeneità del quartiere, individuando narratori e narratrici diverse per età, etnia, status sociale, grado di istruzione, cercando di coinvolgere persone con un ruolo importante nel quartiere in quanto punti di riferimento culturale o spirituale o ideatori di servizi innovativi.

Conoscersi, raccogliere una storia biografica: gli incontri tra narratori, narratrici e biografe

 La raccolta biografica è stata organizzata in due incontri.

Durante il primo, dallo scopo conoscitivo, l’aula magna del Liceo Marconi si è popolata,  come in un mosaico surreale, di quasi venti, tra narratori e narratrici: in mezzo a studentesse, insegnanti e a noi del Circolo LUA di Parma, sono tornati sui banchi o vi ci sono seduti per la prima volta una sarta africana, un educatore del centro sociale, l’ex preside dell’istituto, un frate, la fondatrice del negozio cooperativo di vicinato, la barista del locale più frequentato del quartiere, un sociologo, un cantautore, un’anziana ex insegnante di musica e altri. Eccitazioni, curiosità, timori negli sguardi reciproci, mentre a ciascun narratore veniva abbinata una coppia di studentesse per la conduzione del colloquio biografico.

L’incontro successivo è stato dedicato alla raccolta biografica vera e propria, durante la quale le studentesse hanno condotto l’intervista imperniata sulla domanda Di che storia sei?, formulata per portare l’attenzione su come le storie individuali si intreccino con la cultura e l’immaginario collettivo, invitando dunque a cogliere sollecitazioni provenienti dal mondo della letteratura, della fiaba popolare, della canzone, del teatro.

Una studentessa in ascolto attivo per non abbandonare il contatto visivo e l’altra impegnata nell’annotare i punti salienti della narrazione, il narratore o la narratrice al centro di un’attenzione concentrata e discreta - così ha avuto luogo un incontro significativo e potenzialmente trasformativo, che ha realizzato una possibilità d’incontro con l’Altro altrimenti remota.

Risignificare le storie individuali iscrivendole in un orizzonte collettivo: la scrittura delle biografie di comunità

Le biografe hanno indagato come le storie individuali si intreccino con le storie dei luoghi e la vita politica di una città, andando ‘alla ricerca della storia da narrare’ spaziando da tematiche individuali (famiglia, educazione, amore, amicizia) a tematiche urbane (case, vie, piazze, luoghi di incontro) e sociopolitiche (personaggi, feste e manifestazioni, movimenti politici). Le biografe si sono cimentate nella cucitura delle storie, ri-signifcando i vissuti e collocandoli nell’orizzonte del contesto territoriale del quartiere.

Una forma rituale di restituzione: la lettura pubblica e il dono

La fase conclusiva è stato un momento corale ad alta intensità emotiva, nel quale le narratrici hanno letto ad alta voce davanti ai protagonisti e alle protagoniste alcuni estratti delle storie da loro scritte.

Come Ulisse alla corte dei Feaci si commuove sentendo le proprie gesta narrate dall’aedo cieco, capendone solo in quel preciso istante la grandezza, allo stesso modo narratrici e narratori si sono ri-guardati, rispecchiati e ‘ritrovati’ nello sguardo altrui.

Alla fine di ciascuna lettura una coreografia rituale ha disegnato i gesti in modo che le biografe consegnassero nelle mani dei loro narratori una copia della raccolta stampata e intitolata Persone dell’Oltretorrente.

La raccolta biografica come azione di poetica relazionale ispirata alla metafora dell’arcipelago

Il senso del progetto Biografe di Comunità risiede nell’insegnare/imparare a leggere non solo i testi, ma anche i luoghi e le persone, per fare esperienza dell’incontro con l’Altro da sé.

La prima deduzione teorica è quella relativa alla messa in prova di nozioni in un agito pratico, come evidenziato dalla Prof.ssa Gloria Cattani, dirigente del Liceo Marconi, nella prefazione del volume: “Questa è la nuova scuola! Quella di cui si parla tanto in questi ultimi tempi, per la quale si spendono pagine e pagine d’illustri commenti e per la cui costruzione si offrono ricette che provengono da riflessioni profonde. […] Create dal lavoro a più mani di un gruppo di studenti e docenti, nel tempo “dell’al di là” della lezione del mattino, ricche di saperi “antichi”, di stili analizzati in profondità, di conoscenze acquisite sui testi di grammatica, nella pratica dell’esercizio di stile. […] Gli studenti si sono cimentati, forse per la prima volta, con la produzione di un testo da un racconto narrato direttamente dal protagonista.”

Ma vi è un altro aspetto teorico fondamentale.

In un’epoca in cui i rapporti di vicinato s'impoveriscono, la meccanizzazione generale delle funzioni sociali riduce progressivamente lo spazio relazionale, le ondate migratorie creano convivenze forzate in cui le diversità nel migliore dei casi arrivano a tollerarsi, il processo partecipato rappresenta una micro-utopia di  prossimità, che ha consentito un incontro impossibile senza alcuna pretesa di azzerare lo scarto, ma consentendo di rispettare l’opacità[2] di ogni storia, ammettendone l’ineludibile impossibilità di completa trasparenza, per cui per guardarsi reciprocamente è necessaria una distanza simbolica, nella quale respirano i vissuti individuali.

La relazione creatasi non ha preteso di riportare l’incontro entro paradigmi identitari prestabiliti, ma è stata sviluppata a partire da un’idea di identità multicentrica diffusa, come quella di un arcipelago, nella quale storie e culture differenti rimangono “opache” le une alle altre, in una fertile estraneità, che ne protegge diversità e bellezza.

Questo significa coltivare un’ecologia della mente nella quale si fa spazio dentro di sé all’alterità, contenendo l’impulso ad assimilarla e uniformarla.

Accettare l’Altro da sé, senza volerlo ridurre al già noto (perché non si tollera di non capire), ha attivato un processo di eterogenesi: una trasformazione sia soggettiva, sia comunitaria, nel segno di una memoria viva e dinamica, forza propulsiva che favorisce lo sviluppo della comunità in armonia con il proprio genius loci, quello spirito del luogo che, nel caso dell’Oltretorrente, è caldo, accogliente, critico, multiculturale e ribelle.

Proprio un quartiere la cui instabilità viene reputata pericolosa può rappresentare invece l’opportunità di un laboratorio continuo per la riflessione su una nuova identità sociale, legata non più al concetto di “radice unica” ma a quello di “rizoma” di Gilles Deleuze e Félix Guattari – una radice che si estende in reticoli nella terra e nell’aria – un’idea che mantiene viva la connessione tra radice e identità, rifiutando però il pensiero dell’Uno per sostituirlo con una poetica della relazione, basata sulla reciprocità invece che sulla dominazione e supremazia. Una visione che supera “l’inclusione”, parola che evoca un rapporto gerarchico, in quanto reca in sé il presupposto dell’esistenza di un gruppo forte/centrale deputato a includere un gruppo debole/marginale, a favore di un incontro senza sintesi né concentrazione, ispirato alla moltiplicazione e alla diffrazione.

Come suggerisce in “Poetica della Relazione” il poeta e saggista originario della Martinica Edouard Glissant, a lungo impegnato politicamente per una liberazione anticolonialista delle isole dei Caraibi, un nuovo modello per le nostre società può essere la creolizzazione, un meticciato “che permette ad ognuno di essere qui e altrove, radicato e aperto, perso nella montagna e libero nel mare, in accordo e in erranza”[3]

Si ringraziano le professoresse coordinatrici del progetto: Patrizia Bertolani, Mafalda Vescovi, Maria Grazia Rossi, Enrica Conforti.


[1] Formatrice LUA, membro del Circolo Thoreau e del Circolo di Cultura e Scrittura Autobiografica di Parma, poeta, docente di Grafica e Comunicazione al Bachelor of Arts di NABA (Nuova Accademia di Belle Arti di Milano), facilitatrice Mindfulness.

[2] Il termine si riferisce all’affermazione “Noi rivendichiamo il diritto all’opacità” di Edouard Glissant, secondo la quale l’opacità “non è la chiusura in un’autarchia impenetrabile, ma la sussistenza in una singolarità non riducibile. Le opacità possono coesistere, confluire, tramando tessuti la cui vera comprensione si baserebbe sulla tessitura di questa trama e non sulla natura delle componenti”.

E. Glissant, Poetiche Relazionali, Quodlibet, Macerata 2007, p.202

[3] E. Glissant, Poetiche Relazionali, Quodlibet, Macerata 2007, p.51

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