METAFISICA DELLA RADURA

Di ELISA BARBIERI

#1 Vagare è abitare

DESERTI, DISTESE, RADURE, PIANURE

Nel suo libro ‘Perdersi’ l’antropologo Franco La Cecla riporta una celebre storia di Jorge Luis Borges, che narra di un re delle isole di Babilonia che aveva dato l'incarico ai suoi maghi ed architetti di costruirgli un labirinto tan perplejo y sutil che gli uomini più prudenti evitavano di avventurarcivisi e quelli che vi entravano si perdevano. Un giorno alla sua corte venne un re degli Arabi ed il re di Babilonia lo fece entrare nel labirinto. Li con un artificio lo lasciò solo e questi vago’ offeso e confuso sino al tramonto, Il re d'Arabia imploro il soccorso divino e trovò la porta, Non si lamento di nulla, ma disse al re di Babilonia che in Arabia possedeva un labirinto migliore. Tornato in Arabia raccolse i suoi alcadi e capitani e mosse guerra al re di Babilonia, con tanta fortuna che ne abbatté i castelli, ne fece prigionieri i sudditi e lo stesso re.Allora lo legò in cima ad un cammello veloce e lo portò nel deserto. Cavalcarono per tre giorni e tre notti e quindi il re di Arabia disse a quello di Babilonia: "Oh, re del tempo e sostanza e somma del secolo! In Babilonia hai cercato di farmi perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e mura; ora il Potente ha voluto che ti mostrassi il mio, in cui non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticose gallerie da percorrere, né muri che ti sbarrino il passo". E così lo slegò e lo abbandonò nel deserto dove questi morì di fame e di sete (J.L. Borges, 1957).

Il suo labirinto era un artefatto. Nessuno vi poteva vivere, eccetto forse, qualche sorta di Minotauro. Il deserto, al contrario, benché sia il prototipo dei luoghi deserti, può essere abitato, ma solo dai suoi indigeni, come il re di Arabia.

Per evitare di perdersi nel labirinto c'è bisogno di una mappa o di un filo o dell'aiuto divino. Per non perdersi nel deserto, bisogna esserne abitanti. Vivere nel deserto significa, più che abitarne le oasi, tracciare su di esso le direttrici di una conoscenza possibile solo per assiduità, non concessa ad un transito occasionale.

Ebbene, la radura può essere considerata una sorta di deserto, nel quale perdiamo i punti di riferimento, nella radura s’interrompono i sentieri per lasciare spazio a un vuoto, a uno spazio aperto, libero, non tracciato, nel quale non riusciamo ad orientarci. La radura, il deserto, lo spazio vuoto che causa disorientamento e spaesamento, ma che ha anche un enorme potenziale di sviluppo, è una grande metafora del contemporaneo.

Come possiamo ri-orientarci nella radura?

Recuperando la conoscenza autoctona, diventando abitanti del territorio. Nel caso di deserti, piane e radure, questo significa imparare ad abitare la libertà, a riconnettersi con sé stessi e con l’habitat attraverso delle pratiche di presenza e consapevolezza, attraverso esercizi di sguardo e di ascolto.

#2 Vagare è rivelazione

LA RADURA DELL’ESSERE

Quali opportunità di sviluppo rappresenta radura?

Nel 1950 il filosofo tedesco Martin Heidegger pubblicò una raccolta di saggi filosofici dal titolo Holzwege, tradotto in italiano con Sentieri erranti nella selva (o Sentieri interrotti).

Là dove un sentiero s’interrompe, inizia una radura.

Per Heidegger la radura è un concetto che indica lo spazio aperto e illuminato in cui l'essere si manifesta e gli enti possono venire alla luce. La chiama "la radura dell'essere" (Lichtung des Seins).

Non si tratta di un luogo fisico, ma piuttosto una dimensione metafisica dove l'essere rivela se stesso, permettendo agli enti di apparire e di essere compresi. La radura come luogo in cui il Dasein incontra l'essere e si interroga sul proprio essere. La radura come luogo del Non-Nascondimento, legato al concetto di verità come disvelamento.

Stare nella radura significa avere il coraggio di uscire allo scoperto, di mostrarsi in primis a sé stessi. Credere di essere degni di prendere la luce.

 #3 Vagare come pratica di umiltà

STARE NELLA CRISI DEL SENSO

Vagare nella radura sfida il nostro bisogno di senso (direzione, significato), umilia la ragione. Ma l’insensatezza è una pratica di umiltà, ci insegna a stare nel mistero, nell’ignoto, in ciò che non ha concretezza e utilità immediata.

La radura, in assenza di sentieri, ci costringe a vagare.

Cosa dice rispetto al vagare la filosofia orientale?

Per il taoismo colui che vaga nel non-essere è l’uomo saggio. Lao Tzu - mistico, filosofo e scrittore cinese antico del VI secolo a.C., presunto autore del Tao Te Ching e fondatore del taoismo - scrive che il saggio ‘vaga come un uccello e non lascia tracce’. Il topos di fondo del pensiero dell’Estremo Oriente non è l’essere ma la via, una via cui manca ogni forma di stabilità, che assomiglia più a una nuvola del cielo che non a una strada di asfalto. Il saggio è senza nome e senza io.

Solo chi si svuota divenendo nessuno riesce a vagare. Il viandante dimentica sé stesso, non desidera nulla, non si aggrappa a nulla.

Come possono queste parole non ricordarci la seguente poesia di Emily Dickinson?

Io sono nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere Qualcuno!

 #4 Vagare è entrare in una dimensione qualitativa

STARE NELLA VASTITA’ DEL TEMPO

A quale esperienza del tempo ci avvicina la radura?

Così come occorre re-imparare a oziare, nel senso etimologico nobile del termine, che riconduce alla vita come opportunità di sviluppo del potenziale, per vagare seriamente occorre liberarsi dal cellulare, dal conversare, dal controllare e occorre essere liberi di seguire il proprio ritmo, di stare in silenzio, di osservare con tutti i sensi, di fermarsi, di tornare sui propri passi.

Per vagare nella radura occorre accettare l’assenza di dominio del territorio, rispettare la verginità di un luogo non tracciato.

In assenza di traiettorie rettilinee, la radura diventa simbolo della vastità e della circolarità del tempo. La poeta e insegnante di meditazione Chandra Livia Candiani scrive nel suo ‘Il silenzio è cosa viva’: “Il tempo si dilata in una pianura che permette la vastità interiore, il non calcolo del tempo, ed entriamo così in un tempo mitologico dove un istante è tutta una vita e tutta la vita è un istante.”

E la stessa metafora della radura e della pianura come erranza ed eternità dei giorni la troviamo nel più grande autore di haiku di tutti i tempi, il poeta e vagabondo giapponese Matsuo Bashō: “I mesi e i giorni sono vagabondi dell’eternità. Anche l’anno che va e quello che viene sono vagabondi. Per chi vive sulle navi o invecchia guidando cavalli, ogni giorno è un viaggio e casa è lo spazio aperto.”

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STUDENTESSE-BIOGRAFE IN UN QUARTIERE LABORATORIO

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