METAFISICA DELL’ARCIPELAGO
Di ELISA BARBIERI
#1 In principio fu un’isola
DA SAFFO A SAINT-JOHN PERSE
La poesia occidentale nasce su un’isola: Saffo è di Lesbo, Omero «è un cieco che abita in Chio rocciosa». Il legame con quelle isole sarà ripercorso da Ugo Foscolo, che mitizza «Zacinto mia, che ti specchi nell’onde/ Del greco mar, da cui vergine nacque/Venere» e, nel secolo scorso, da Yannis Ritsos e Konstantino Kavafis.
Una specie di nuova Chio, il centro del mondo della poesia epica contemporanea, può essere ritrovato in Saint Lucie, nelle Piccole Antille, per merito di Derek Walcott, premio Nobel per la letteratura nel 1992. Eppure, è Saint-John Perse, che il Nobel lo ha vinto nel 1960, a scrivere i versi più commossi alla memoria dell'isolamento, quando «tutto era solo regni e confini di raggi» e il cielo «fiammeggiò come uno sguardo di febbre». Nato nell’isolotto Saint-Léger-les-Feuilles, di proprietà paterna, nelle Antille francesi, dove «trascorre i suoi primi anni fra terremoti, cicloni, boati di vulcani, stregoni, liane, danze esaltanti» (Romeo Lucchese), lo lascerà per sempre, insieme alla famiglia, trasferendosi in Francia, a 12 anni. Immagini isolane ricorrono ossessivamente nell’opera vertiginosa di Saint-John Perse.
L’isola è l’emblema della fuga dal mondo: soprattutto, è l’idea che si possa costruire una società autenticamente altra, a partire dal romanzo di Thomas More del 1516 dal titolo Utopia, in cui si descrive il progetto di un’isola che si prefigge di essere una nazione ideale.
In Ritorno a Utopia scrive il filosofo Roberto Mordacci: “Superata l’illusione che il progresso si produca automaticamente per un destino o per una necessità storica o tecnologica, abbiamo il compito di immaginare strutture e relazioni sociali che siano meno ingiuste, meno autodistruttive, più vivibili, anche se non perfette. Si tratta di provare a tracciare l’immagine credibile di un futuro in vista del quale agire con decisione. (…) Riscopriremo così la profondissima ragionevolezza del pensiero utopico, il suo realismo, la sua concretezza – antidoto alle contorsioni folli dell’attuale assetto del mondo”.
Un paradosso che attrae e invita ad approfondire: l’isola, simbolo di distacco dal continente e dagli uomini, diventa il luogo prediletto dove ripensare le relazioni, come modalità di stare nel mondo, nell’auspicio di una radicale rifondazione delle leggi che regolano la vita sociale.
#2 Ogni o nessun uomo è un’isola?
CONTRO L’UNITA’ INCONDIZIONATA DELLA RELAZIONE
Lo scrittore desidera l'isola deserta perché l’uomo, di per sé, è un’isola. Solo chi ha fatto di sé un’isola, un luogo inaccesso, riesce a godere dalla sopraffina solitudine: scorge un atollo nel sottoscala, un oceano nell’angusta cella della propria stanza.
Eppure il poeta e religioso inglese John Donne, massimo rappresentante della poesia metafisica nel ‘600 inglese, scrive il sermone che diventa celebre dal titolo Nessun uomo è un'isola (meditazione XVII) citato da Ernest Hemingway in epigrafe a Per chi suona la campana, e da cui trae ispirazione un omonimo libro di Thomas Merton.
Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
la Terra ne sarebbe diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa.Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per teJOHN DONNE
L’idea di partecipazione all’umanità espressa da Donne richiede un’unione senza intermezzi e senza interludi, in perfetta soluzione di continuità. Un arcipelago, diffratto e disteso, in cui le isole cono distanti le une dalle altre, non rappresenterebbe l’unione ideale che, per essere tale, richiede di non avere spazi tra un’entità e l’altra.
Il distacco di una zolla di terra caduta in mare viene equiparata alla morte, alla scomparsa, alla perdita senza ritorno, perché l’unione richiede una contiguità assoluta. Partecipare all’Umanità richiede l’abolizione di ogni limite e confine. Il mare è visto come un inaffidabile elemento liquido, instabile e imprevedibile, che lava via e cancella, invece di consentire una comunicazione rispettosa (dei tempi, delle dinamiche, delle peculiarità soggettive).
Kant nella Critica della ragion pura ritorna a questa idea di unione chiamandola “unità incondizionata della relazione”, ovvero una relazione senza apertura alla pluralità. Una nozione ancora attuale, di cui troviamo una rappresentazione pop nel rito del suggello della relazione sentimentale con un lucchetto chiuso sul ponte.
Eppure, prima della stabilità della terra con le sue autostrade dritte e veloci, era l’acqua - mare e fiumi - a costituire le maggiori vie di comunicazione fra i popoli.
#3 L’arcipelago come teoria della differenza
LA POETICA DELLA RELAZIONE DI GLISSANT
Una visione diversa dell’arcipelago, basata sul riconoscimento delle diversità insulari e sul concetto di sistema unitario pur nella disseminazione, ci è offerta nella summa teorica del suo pensiero Poetica della Relazione (1990), dal poeta e saggista originario della Martinica Edouard Glissant (Sainte-Marie 1928 – Parigi 2011). Glissant espande la critica di Deleuze e Guattari alla nozione di radice unica, mettendo in discussione il paradigma identitario su cui si basa la relazione ‘io-altro’. Glissant prende come modello la realtà diffusa e decentrata dell’arcipelago. celebrando un’estetica del frammento e del margine, contro il pensiero del centro e della totalità.
È lo ‘spazio tra’ a permettere alle entità di esistere nella differenza e di essere viste (abbiamo bisogno di una distanza minima per mettere a fuoco, per distinguere, per vedere un’immagine non sdoppiata ma unica). “Ciò che ci sostiene non è la mera definizione delle nostre identità, ma anche la loro relazione a tutto il possibile: le trasformazioni reciproche generate da questo gioco di relazioni” (Glissant).
Glissant è il teorico della cosiddetta ‘antillanità’, un pensiero nato e maturato nelle Antille, nel Mar dei Caraibi, in un golfo disseminato di isole e arcipelaghi, in un qualche modo assimilabile alla Grecia e all’intero Mar Mediterraneo, anch’esso culla del pensiero filosofico.
La metafisica dell’arcipelago di Glissant è rappresentazione di un paradigma relazionale basato sul rispetto della diversità. Il suo discorso riguarda principalmente l’incontro/scontro tra culture, accelerato nell’era della globalizzazione e improntato principalmente sulla violenza, ma può a ragion veduta riguardare anche 1. le relazioni interpersonali e 2. intrapersonali. Poiché 1. “le nostre identità non si appellano più all’identico, ma a un accordo di differenze” e “lo spazio interiore da esplorare è infinito quanto gli spazi terrestri” (Glissant).
E ancora sulla metafisica dell’arcipelago: “Un mare che diffrange. La realtà arcipelagica, nei Caraibi o nel Pacifico, esemplifica naturalmente il pensiero della Relazione, senza per questo doverne dedurre un qualsivoglia vantaggio. Ciò che è accaduto nei Caraibi, e che potremmo riassumere con la parola creolizzazione, ce ne fornisce l'idea più approssimata possibile. Non soltanto un incontro, uno choc (nel senso segaleniano), un meticciato, bensì una dimensione inedita che permette ad ognuno di essere qui e altrove, radicato e aperto, perso nella montagna e libero nel mare, in accordo e in erranza”.
Il ‘mare che diffrange’ reclama il diritto all’opacità di ciascuna entità, il rispetto da parte dell’Altro del mistero ineludibile che ciascuno racchiude, senza pretesa di capirlo, comprenderlo, che sarebbe il ridurlo al già noto, dunque lo sminuirlo.
“Non soltanto acconsentire al diritto alla differenza, ma - ben oltre - al diritto all'opacità, che non è la chiusura in un'autarchia impenetrabile, ma la sussistenza in una singolarità non riducibile. Le opacità possono coesistere, confluire, tramando tessuti la cui vera comprensione si baserebbe sulla tessitura di questa trama e non sulla natura delle componenti”.
In opposizione alla pretesa di trasparenza, che cela una certa volontà di manipolazione, reclamare il diritto di opacità significa rinunciare alle dinamiche relazionali improntate a dominio e possesso, per riconoscere e coltivare relazioni di interdipendenza.
“La Relazione è tale in quanto i singoli, che la costituiscono in interdipendenza, si sono prima di tutto emancipati da ogni approssimazione di dipendenza”.
Je est un autre, scriveva di sé il poeta maledetto Arthur Rimbaud. Per Glissant la capacità di sentire lo choc dell’altro e dell’altrove è ciò che definisce il poeta.
È così che autobiografia e poesia, soprattutto in cammino, in relazione con la fisicità dell’arcipelago, diventano un modo per esercitare il pensiero dell’Altro, definito da Glissant come ‘generosità morale nell’accettare il principio di alterità’.
#4 Segnali d’amaro approdo
IL POETA SAINT-JOHN PERSE
Dopo una gestazione decennale nel 1957 esce Amers, il capolavoro di Saint-John Perse dal titolo polisemantico tradotto sapientemente in italiano da Nicola Muschitiello in “Segnali d‘amaro approdo’.
Si tratta di un poema in cui tutte le ere sembrano ricapitolarsi di fronte alla regalità del mare, che viene “cinto d’una lode impeccabile”. È una sorta di azzurra Apocalisse. Un estenuato tramonto “nei primi brividi della sera viscerale”, “un’ora avida” imporporata “nella lavanda sul mare”. È la veglia di un eroe antico che ha conosciuto la solitudine e che incontra l’amore. È una vasta e irraggiungibile sinfonia marina. È un teatro costiero in cui si affacciano personaggi misteriosi, che si svelano appena nella bruma marina, offrendo dunque con linguaggio poetico un mirabile immaginario arcipelagico, uno scenario di città sul mare, di “grandi opere portuali di pietra”, di punte rocciose e uccelli bianchi.
Un universo acceso da una miriade di figure che ricorda la felicità d’invenzione di Ovidio, in cui la gioia esplode in ogni pagina.
È proprio con questa invocazione di apertura che concludo, invitando a leggere questo poema per entrare nell’immaginario dell’arcipelago e nell’amore per l’utopia, antidoto alle contorsioni folli dell’attuale assetto del mondo.
Poesia per accompagnare la marcia di una recitazione in onore del Mare.
Poesia per assistere il canto d'una marcia al deambulatorio del Mare.
Come fare il giro dell'altare, e il coro gravitante nel circuito della strofe.
Ed è un canto di mare come mai fu cantato, ed è il Mare dentro di noi che lo canterà:
Il Mare, dentro di noi portato, fino alla sazietà del respiro e alla perorazione del respiro,
Il Mare, dentro di noi, che porta il suo sèrico rumore del largo e tutto il suo gran refrigerio propizio attraverso il mondo.
SAINT-JOHN PERSE